Tuesday, September 27, 2005
Paolo Calissano
Matilde Brandi, una sposa premaman 8/9/2005
Le nozze e un bimbo per la showgirl
"Prima mi sposo e poi divento mamma". Se è vero che l'ultima moda in fatto di nozze vip è l'abito bianco su un pancione da futura mamma, Matilde Brandi, 36 anni, è davvero al passo coi tempi. La showgirl ha annunciato di aspettare un bimbo da Marco Costantini, il commercialista con cui sta da un anno. Il bimbo nascerà a marzo e troverà mamma e papà già con la fede al dito. "Non abbiamo ancora fissato la data, ma ci sposeremo entro dicembre".
L'avevamo lasciata dopo la rottura del fidanzamento con l'attore Paolo Calissano. A causa di una scappatella di lui, pare. La ritroviamo raggiante, pronta a raccontare tutte le grandi novità della sua vita. Prima di tutto, l'incontro con quello che lei definisce l'uomo giusto. Lui è Marco Costantini, è romano, fa il commercialista ed è entrato nella vita della soubrette un anno fa. "E' la storia seria che ho sempre cercato", svela la Brandi a Gente. Tanto da spingerla a decidere di fare il grande passo.
Anche se le nozze saranno celebrate quasi sicuramente entro dicembre, la data esatta non è ancora stata fissata. Quello che è sicuro, però, è che Matilde seguirà le orme di molte altre colleghe che hanno detto sì quest'estate - come Ilary Blasi o Samantha De Grenet - e arriverà all'altare con il pancione.
"Quasi non mi rendo conto dell'enorme felicità che provo da quando, pochissimo tempo fa, ho avuto la conferma della mia gravidanza". Per stare vicino al bimbo, che nascerà a marzo, è pronta anche a mettere da parte il lavoro. Persino la parte da protagonista in una fiction. Una proposta che ha appena ricevuto e che accetterà solo se non interferirà con i suoi impegni di mamma. D'altra parte, lei non ha mai fatto mistero di avere due priorità: le nozze e i figli.
http://www.tgcom.it/gossip/articoli/articolo274151.shtml
Calissano, dalle soap alle manette La parabola discendente del divo tv
26/9/2005 http://www.tgcom.it/cronaca/articoli/articolo276854.shtml
"Si è buttato nel cesso". E' questa l'impietosa fotografia della parabola di Paolo Calissano scattata da un amico. Raggiunta la notorietà con le soap in tv, Calissano, rampollo della Genova bene, comincia a scendere la china da quando viene lasciato dalla showgirl Matilde Brandi. Corse in moto e notti brave culminate con il coca-party costato la vita ad una ballerina brasiliana il triste finale.
Nell'ambiente dello spettacolo tutti conoscevano la brutta piega che la vita dell'attore stava prendendo, anche perché il diretto interessato non faceva nulla per nascondere i propri problemi 'esistenziali'. Bello, ricco e famoso aveva iniziato a scorrazzare tra Genova e Portofino sul sellino della sua Harley-Davidson, con quel maledetto vizio della droga sempre più diffcile da tenere a freno. Eppure Calissano è una di quelle persone che si dice siano nate con la camicia. Di famiglia oltremodo agiata, figlio di un ufficiale dell’aeronautica militare e di una nobile, laureato in Economia e Commercio, dopo una carriera da calciatore sfumata per poco si era dato alla carriera televisiva. Per diventare più bravo di quanto non fosse quando difendeva i pali della porta delle giovanili della Sampdoria era andato a studiare recitazione in America, raccogliendo il frutto delle sue fatiche al ritorno nel nostro Paese quando diventa uno dei volti più conosciuti delle soap opera nostrane. Il grande successo si chiama Vivere, la più accreditata delle risposte italiane a Beautiful, che gli vale anche il titolo di 'fidanzato d'Italia' assegnatogli nel 2000 dai rotocalchi. Una via en rose che si è lentamente tinta del nero della cronaca e del bianco della polvere da cui è stata cancellata la vita della sua giovane amica brasiliana in quel maledetto coca party consumato nella sua bella casa genovese nella notte tra sabato e domenica.
Calissano è diventato popolare con le fiction televisive
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/GdM_cronache_NOTIZIA_01.asp?IDCategoria=273&IDNotizia=144514
ROMA – Paolo Calissano, attore molto amato dal pubblico femminile, è nato a Genova il 18 febbraio 1967. Laureato in economia alla Boston University, ha avuto numerose esperienze cinematografiche, tra cui “Palermo-Milano solo andata” di Claudio Fragasso, ma è diventato popolare grazie alla fiction tv. Ha partecipato anche alla serie americana “General Hospital”. Successivamente ha recitato tra l’altro nella serie “La dottoressa Gio” con Barbara D’Urso su Retequattro. Ma è la soap opera italiana “Vivere”, in onda su Canale 5, a dargli il successo nel ruolo del bel tenebroso Bruno De Carolis. Un riscontro di pubblico rafforzato diventando uno dei personaggi principali della soap di Raidue “Vento di ponente”, le cui due serie sono state girate proprio a Genova. Lo scorso anno ha partecipato all’Isola dei famosi, seconda edizione, ritirandosi però subito per i postumi di un infortunio al ginocchio.25/9/2005
GENOVA: CASO CALISSANO, ORA SI CERCANO GLI SPACCIATORI
OGGI L'AUTOPSIA SUL CORPO DELLA GIOVANE, L'ATTORE SALVO PER MIRACOLO
http://www.adnkronos.com/3Level.php?cat=Cronaca&loid=1.0.156248337
Genova, 26 set. (Adnkronos) - La polizia indaga a tutto campo per risalire agli spacciatori che hanno venduto la droga risultata fatale ad Ana Lucia Dezeira Bandeira, la 31enne, madre di due figli, che e' stata trovata morta intorno alle 12 di ieri nella casa genovese del noto attore tv Paolo Calissano. Il protagonista di 'Vivere' e 'Vento di Ponente' si e' salvato per miracolo, grazie a un'iniezione di Narcan, per la ragazza, invece, non c'e' stato nulla da fare.
Ascesa e declino del Richard Gere di Albaro
Calissano con le soap ha finito di «Vivere» 27-09-05
- di FABRIZIO GRAFFIONE - http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=31689
Paolo Calissano «tradito» dalla notorietà e dalla lontananza dalla nostra città. Dal liceo dei frati al successo della televisione. Era andato a studiare negli Stati Uniti e non toccava neppure le sigarette. Anzi, rimproverava gli amici che avevano il vizio del fumo. Al liceo era rispettoso dei professori e non litigava mai con i compagni.
«Paolo Calissano: il Richard Gere di Albaro». È il titolo della prima intervista all’attore genovese uscita su un settimanale genovese oltre venti anni fa. Gliela feci quasi scherzando. Lui non aveva ancora diciotto anni, io un paio di più. Eravamo in compagnia insieme, prima in via Telesio, poi in via Puggia e, infine, in piazza «Leo», cioè Leonardo da Vinci, a due passi dall’attichetto in affitto alla Rocca di Albaro, il residence dove abitava, poco prima, anche sua mamma. Eravamo insieme anche alla scuola, tutta maschile, dei fratelli Maristi. Allora, tra la fine degli anni Settanta e inizio anni Ottanta, lo Champagnat era uno dei pochi dove si doveva studiare davvero e non si scioperava mai. Quelli del King passavano sotto le finestre e inveivano contro di noi recitando slogan comunisti. Non ci capivamo granché. Infatti a ricreazione parlavamo prima di figurine, poi, al liceo, di moto, calcio, sci e delle prime storie con le ragazze. Fratel Umberto, il preside, ha sicuramente rimproverato più me di Paolo. Da ragazzino a scuola lui andava benino. Era educato con i professori. Non si pavoneggiava. Mai una litigata con un altro compagno. Insomma, uno tranquillo e simpatico, come tanti.Durante l’età universitaria aveva deciso di imparare bene l’inglese. Così era partito per gli Stati Uniti. Ci raccontava di spiagge bellissime, di surf, di auto e moto, di belle ragazze, di luoghi di studio realizzati a misura dello studente. Di orari e passaporti da mostrare al barman anche per bere soltanto una birra. Ma a lui e a tutti noi non importava. Nessuno aveva il vizio di bere alcolici. Era quasi il paradiso dei giovani. Almeno, a venti anni la pensavamo così. Qualcuno lo andò anche a trovare. Quando tornò era lo stesso di prima, ma con un grosso bagaglio culturale e sociale in più. Io fumo sigarette. Paolo no. Anzi, qualche volta, mi ha rimproverato e mi rimprovera tuttora: «Lo sai che in America hanno smesso di fumare quasi tutti». Non gli ho mai visto toccarla, una sigaretta. Figuriamoci uno spinello. Non lo ho mai visto sniffare cocaina. Al contrario, all’inizio della carriera di attore, ma anche dopo, quando con gli amici si andava a gustare un aperitivo, Paolo spesso non c’era. È uno che ci tiene al fisico. Lo rivedevo, tornando a casa, correre lungo i marciapiedi di corso Italia o di Quarto, vicino al mare, per mantenersi in forma. Soprattutto quando vedeva che noi, i suoi amici, avevamo messo su qualche chiletto di troppo.In palestra, poi, ci andava spesso. E anche io, per un periodo, ce lo trovavo sempre, insieme al fratellone minore, Roberto, un marcantonio che definire un pezzo di pane sarebbe riduttivo. Uno generoso, Paolo, un bravo ragazzo che è riuscito a sfondare nel difficile mondo dello spettacolo. Senza raccomandazioni. Partendo da Genova senza conoscere nessuno a Roma oppure a Milano. Senza essere figlio d’arte o compagno di qualcuno che conta. Era destinato dal papà a fare l’imprenditore, alla ditta Pattono. Come il fratello Roberto. Forse a Roma, quando abbiamo smesso di frequentarci spesso, è scattato qualcosa. In quel mondo è difficilissimo rimanere sulla cresta dell’onda, quando sei da solo e conti soltanto sulle tue forze.«Bocche cucite arriva la stampa» ridendo mi dice sempre. Di quel «giro» e delle avventure con le starlets «ne parlo soltanto con Roby». Soprattutto dopo «Vivere», «Vento di ponente» e delle altre produzioni televisive e cinematografiche. A casa mia è venuto un paio di anni fa per un barbecue in giardino. Insieme ai vecchi amici, a bordo della sua Harley Davidson fiammante. Rideva e scherzava. Un ragazzo come tanti. Belloccio e di successo, ma sempre educato e gentile con tutti. Ci siamo rivisti, un mesetto fa, per una festicciola di pomeriggio, a casa del fratellone. Mi ha riparlato degli incidenti stradali, prima con la sua moto e poi con una Smart. Nonostante la riabilitazione gli facevano ancora male le ginocchia. In mano una striscia di focaccia col formaggio e un bicchiere di birra. Tutto qui. L’ho abbracciato sui gradoni della chiesa di Albaro, al funerale del papà, un paio di settimane fa. Piangeva dietro gli occhiali scuri.
27 settembre 2005
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/09_Settembre/27/anina.html
La ragazza morta a casa di Calissano dopo un festino
E Anina disse: sto con Paolo, è l’uomo giusto
L'addio al Brasile dopo le violenze in famiglia. Aveva lasciato i night per un lavoro in fabbrica
Ana Lucia Bandeira Bezerra, la ballerina brasiliana morta per un'overdose a casa di Paolo Calissano DAL NOSTRO INVIATO MONDOVÌ (Cuneo) - «Anina» è morta povera. Oggi è arrivato l’estratto conto del Banco Posta di Mondovì, e il saldo dice 27 Euro. La chiamavano così, con un diminutivo, perché era piccola di statura, un metro e 61, e più piccola dei suoi 31 anni. Ana Lucia Bandeira Bezerra era una donna bambina, dicono le sue amiche studentesse. Così bambina da illudersi di aver trovato la persona giusta in Paolo Calissano, magari l’uomo capace di portarla via, dalla lap dance, dalle mani dei clienti sulle cosce, dai fine serata sempre uguali, a casa di qualcuno appena più gentile degli altri. «Domenica mi ha promesso che viene qui, così finalmente conosci uno famoso», aveva detto a Giorgia, che studia all’Istituto turistico di Mondovì. Lo conosceva da tre anni, da una settimana stavano insieme. «Il mio fidanzato», diceva, e non scherzava. So che si chiamava Ana, e che era brasiliana. L’attore che qualche anno fa era il «fidanzato delle italiane» ha fatto mettere questo a verbale. Mezza riga, non di più, a riassunto di una vita. «Anina» invece non era soltanto una nota a margine nella caduta rovinosa di un attore famoso.
Aveva una storia, non facile da raccontare, come le storie di chi perde sempre, qualunque cosa faccia. Era nata il 6 marzo 1974 a San Joao de Meriti, un villaggio attaccato a Rio de Janeiro. Nella casa della sua famiglia ci sono le sbarre alle finestre, per impedire ai vicini di fregarsi la lavatrice. Era fuggita a 14 anni, per scappare al convivente della madre, che la violentava ogni sera. Era finita sui marciapiedi del lungomare di Rio. Un operaio di Livorno se n’era innamorato e l’aveva portata in Italia. Era nata subito una bambina, tre anni dopo era arrivato un maschio. Lei aveva paura, di una vita con non pochi problemi e della responsabilità dell’essere madre. Se n’era andata. Aveva risalito l’Italia a tappe, il lavoro in un night per ogni città sulla Riviera, fino a Genova, dove aveva vissuto per due anni in un albergo dei vicoli. «Era insicura, nessuno su cui contare, nemmeno se stessa, in un mondo che non era il suo». Giuseppe Roggero ha appena finito di sgomberare la casa di Ana Lucia, due locali in una vecchia casa nel centro di Mondovì. È un carabiniere sospeso dal servizio, anche lui ha una storia e non di quelle giuste. Tre anni fa aveva conosciuto «Anina» al Penelope, un night che poi avrebbe cambiato nome e sarebbe diventato il Sax, ultimo domicilio lavorativo della ballerina brasiliana. «Non si faceva pagare, se è questo che tutti vogliono sapere. Ma non era capace di dire no». Si erano fidanzati. Lui l’aveva convinta a trasferirsi a Mondovì. Ana Lucia aveva smesso con la lap dance. Si era rivolta alla Man Power, una agenzia di lavoro interinale. Ne era venuto fuori un impiego alla Politec, azienda di manufatti in vetroresina. Fino a giugno, «Anina» faceva l’operaia. «È stato il periodo più bello della sua vita», dice Giuseppe. Contratti quindicinali, guadagnava 900-1.000 euro al mese, «molti più di quanti ne metteva via ballando di notte». Tre mesi fa, quella vita nuova era finita all’improvviso. Il permesso di soggiorno era scaduto, e l’agenzia non le aveva potuto rinnovare il contratto. Con Giuseppe si era lasciata, ma erano rimasti amici. Per consolarla dall’addio alla fabbrica, le aveva fatto il regalo più bello. Un viaggio in Brasile, alla ricerca di una famiglia perduta 17 anni fa. I genitori pensavano che fosse morta, uccisa dal convivente della madre, a sua volta ammazzato in una faida di strada. Risalendo l’indirizzo di una zia, avevano trovato il vero padre, il muratore Reginaldo, l’unica figura sorridente della sua infanzia, che se n’era andato di casa quando lei era bambina. Ana Lucia era tornata in Italia con un sogno, uno dei tanti, mai nessuno realizzato. «Sistemare la vita del padre, che non se la passa bene», dice Giuseppe. Ogni tanto diceva anche che voleva andare a riprendersi i figli, ma poi le passava. «Viveva trascinata dalla corrente». Quindici giorni fa, senza lavoro, aveva deciso di tornare a Genova. «Faccio un po’ di soldi e ci si rivede». Aveva l’affitto da pagare. La casa sembra davvero quella di una studentessa. Appesa a un muro c’è una collezione di piccoli poster di gattini. In cucina un poster di Valentino Rossi, in camera da letto una collezione di peluche. Nell’angolo basso di una bacheca, nascosta dietro una conchiglia, c’è una piccola foto incorniciata. Una bambina bionda che ride e indica un neonato. Sono i suoi bambini perduti. Le amiche dicono che Ana Luisa era sempre allegra, «quando eri triste andavi da lei, e ti tornava il buonumore». Miriam sta piangendo davanti al calendario appeso nel salottino. Il giorno del suo diciottesimo compleanno è cerchiato, Anina aveva scritto «chiamarla, farle un regalo!!!». Gli occhi però erano tristi, sempre. Una tristezza di fondo che ha molto a che vedere con quella foto nascosta. «Viveva di questo suo senso di colpa, l’abbandono dei figli». Aveva lasciato anche la patria potestà alla famiglia del padre: «Diceva che era meglio così, con lei non avrebbero avuto un futuro. Non si sentiva all’altezza». In un armadio all’ingresso ci sono le scarpe con i tacchi alti, i vestiti della sua vita nascosta, tubini stretti e attillati. Dice Giuseppe che con le droghe aveva un atteggiamento «laico». Se c’erano, non le rifiutava. A Mondovì, ci sono queste due ragazze, Giorgia e Miriam, 17 e quasi 18 anni, che chiedono di ricordarla anche così, la casinista che ballava e saltava con loro sui materassi. «Diceva che aveva trovato l’uomo giusto, "Paolo della tivù". Sapevamo che non era vero, ma era bello sentirla piena di speranza». Giuseppe ha questa pena nel cuore, la telefonata di sabato notte alle dieci di sera: «Il mio Paolo organizza una festa, perché non vieni?». È rimasto a casa.
Marco Imarisio
GENOVA: CASO CALISSANO, BALLERINA MORTA HA ABITATO A LIVORNO FINO AL 2002 http://www.adnkronos.com/3Level.php?cat=Cronaca&loid=1.0.158156056
Livorno, 27 set. - (Adnkronos) - La ballerina brasiliana Ana Lucia Bandera, morta per un' overdose nella casa genovese dell' attore Paolo Calissano, ha vissuto a Livorno fino a tre anni fa. La donna ha abitato in un appartamento del centralissimo corso Amedeo dove viveva insieme al convivente livornese, E.B., 33 anni, padre dei suoi due figli, una bambina di 12 e un bambino di 10 anni che sono rimasti con lui.
«Avevo perso un figlio e il lavoro»
«La cocaina? Ero depresso»
La verità di Calissano, ricoverato in ospedale. Salta l'interrogatorio, l'attore si è avvalso della facoltà di non rispondere
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GENOVA — Un figlio perduto, un incidente in moto che lo aveva prostrato nel fisico, la morte del padre avvenuta solo venti giorni fa. Paolo Calissano nel carcere di Marassi, davanti al giudice Elena D'Aloisio, ha raccontato la sua storia «di sfortuna e di depressione». «Stavo sempre più male — ha detto al giudice — per questo prendevo sempre più cocaina. Sono un cocainomane. Lo ammetto e sono pronto ad andare in comunità, a disintossicarmi. Da subito. Ne voglio uscire». «Ho perso un figlio dalla mia compagna pochi mesi fa. E' stato un grande dolore. Poi tutto è andato sempre peggio. E ora sono qui», ma questo sfogo dell'attore si è fermato davanti alla formalità dell'interrogatorio: «Non me la sento di rispondere su quello che è accaduto. Sono molto confuso. Non riesco a focalizzare gli avvenimenti. In questo momento, anzi, non ricordo quasi nulla di quella notte». Paolo Calissano, in termini tecnici, si è avvalso della facoltà di non rispondere, e il pm Silvio Franz si è opposto alla richiesta presentata dal difensore Carlo Biondi di arresti domiciliari in comunità. L'attore delle soap opera, l'ex fidanzato d'Italia per una breve stagione, è stato trasferito nel centro detentivo dell'ospedale San Martino. Perché deve essere curato. Nel suo appartamento di via Boselli, dove Ana Lucia Bandeira Bazerra, ballerina trentunenne, è morta sabato notte per overdose, la polizia scientifica ha trovato tracce di cocaina in quattro stanze. La sua storia Paolo Calissano l'ha ripetuta al consigliere regionale Fabio Broglia (Udc), ex presidente della commissione carceri, che ieri gli ha fatto visita. Sembra lucido, adesso, sdraiato sul letto, maglietta bianca e blue jeans, appare «un uomo determinato, sicuramente non disperato». -->-->
E Calissano racconta la sua verità. «Quello che mi sta succedendo è terribile. Ma chiarirò tutto. Non sono uno spacciatore, è un'accusa che mi fa rabbrividire, mi fa stare male. Non ho mai spacciato. E non ho mai obbligato nessuno a prendere droga. Ho sbagliato. Lo so, ma solo con me stesso, non ho mai fatto certe cose. Non capivo più niente, negli ultimi tempi. La mia bestia nera è la depressione. Io non sono matto, sono depresso». Depressione per i suoi amori finiti male, per quella compagna che ha perso un bimbo e poi l'ha lasciato, ma anche per la notorietà perduta, per la solitudine sempre più cupa, per la paura della vita che lo ha sempre attanagliato. Così quella sua apparente lucidità si sfalda in stati d'animo opposti: «Sono molto contento — dice — perché ho ricevuto tanti messaggi, perfino telegrammi di solidarietà. Me li hanno consegnati qui in ospedale. L'amore del pubblico mi commuove». Usa questa parola come se quella che sta vivendo sia una parte in una fiction e non la realtà di una notte finita in tragedia. Pensa di fare il testimonial per una battaglia contro la droga: «Voglio impegnarmi. Dire a tutti di non commettere lo sbaglio che ho fatto io, e che la droga uccide. Vorrei partecipare a una campagna contro la droga. Lo vorrei fare anche per la mia immagine».
Parla pochissimo di Ana Lucia, la piccola ballerina che non ha retto al cocktail di coca e tranquillanti. «Era una brava ragazza — dice —, la sua morte mi ha sconvolto. E' stata una fatalità. Ci conoscevamo da un po', e con lei avevo una bella storia». Anche se volesse, non può andare oltre perché le regole del colloquio gli vietano di parlare di quella notte, e comunque ripete di non ricordare nulla: «Sono stato sfortunato». Bello, ricco, famoso, in fondo sono solo etichette da soap opera. «Non mi facevano più lavorare. E così mi sono depresso ancor di più. L'ultima botta è stata quando mi hanno bocciato alla Rai una fiction che doveva essere ambientata in parte a Genova, come "Venti di Ponente". Si doveva intitolare "Gente di mare", ci tenevo moltissimo. Invece mi hanno detto no». All'ospedale è arrivato il fratello maggiore di Calissano, Roberto. Ma non ci può essere incontro. Per Paolo un altro colpo: «Mi dispiace per mio fratello e per mia mamma, per quello che stanno passando. Roberto poi ha tante preoccupazioni perché adesso deve prendere in mano la ditta, mio padre è morto da poco. E ora succede questo… vorrei poterli rassicurare. Abbracciare. Lo so che mi sono vicini. Che non sono solo». E di questo ha paura, Paolo Calissano, del buio della solitudine.
Erica Dellacasa http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/09_Settembre/28/Calissano.shtml
28 settembre 2005
Le nozze e un bimbo per la showgirl
"Prima mi sposo e poi divento mamma". Se è vero che l'ultima moda in fatto di nozze vip è l'abito bianco su un pancione da futura mamma, Matilde Brandi, 36 anni, è davvero al passo coi tempi. La showgirl ha annunciato di aspettare un bimbo da Marco Costantini, il commercialista con cui sta da un anno. Il bimbo nascerà a marzo e troverà mamma e papà già con la fede al dito. "Non abbiamo ancora fissato la data, ma ci sposeremo entro dicembre".
L'avevamo lasciata dopo la rottura del fidanzamento con l'attore Paolo Calissano. A causa di una scappatella di lui, pare. La ritroviamo raggiante, pronta a raccontare tutte le grandi novità della sua vita. Prima di tutto, l'incontro con quello che lei definisce l'uomo giusto. Lui è Marco Costantini, è romano, fa il commercialista ed è entrato nella vita della soubrette un anno fa. "E' la storia seria che ho sempre cercato", svela la Brandi a Gente. Tanto da spingerla a decidere di fare il grande passo.
Anche se le nozze saranno celebrate quasi sicuramente entro dicembre, la data esatta non è ancora stata fissata. Quello che è sicuro, però, è che Matilde seguirà le orme di molte altre colleghe che hanno detto sì quest'estate - come Ilary Blasi o Samantha De Grenet - e arriverà all'altare con il pancione.
"Quasi non mi rendo conto dell'enorme felicità che provo da quando, pochissimo tempo fa, ho avuto la conferma della mia gravidanza". Per stare vicino al bimbo, che nascerà a marzo, è pronta anche a mettere da parte il lavoro. Persino la parte da protagonista in una fiction. Una proposta che ha appena ricevuto e che accetterà solo se non interferirà con i suoi impegni di mamma. D'altra parte, lei non ha mai fatto mistero di avere due priorità: le nozze e i figli.
http://www.tgcom.it/gossip/articoli/articolo274151.shtml
Calissano, dalle soap alle manette La parabola discendente del divo tv
26/9/2005 http://www.tgcom.it/cronaca/articoli/articolo276854.shtml
"Si è buttato nel cesso". E' questa l'impietosa fotografia della parabola di Paolo Calissano scattata da un amico. Raggiunta la notorietà con le soap in tv, Calissano, rampollo della Genova bene, comincia a scendere la china da quando viene lasciato dalla showgirl Matilde Brandi. Corse in moto e notti brave culminate con il coca-party costato la vita ad una ballerina brasiliana il triste finale.
Nell'ambiente dello spettacolo tutti conoscevano la brutta piega che la vita dell'attore stava prendendo, anche perché il diretto interessato non faceva nulla per nascondere i propri problemi 'esistenziali'. Bello, ricco e famoso aveva iniziato a scorrazzare tra Genova e Portofino sul sellino della sua Harley-Davidson, con quel maledetto vizio della droga sempre più diffcile da tenere a freno. Eppure Calissano è una di quelle persone che si dice siano nate con la camicia. Di famiglia oltremodo agiata, figlio di un ufficiale dell’aeronautica militare e di una nobile, laureato in Economia e Commercio, dopo una carriera da calciatore sfumata per poco si era dato alla carriera televisiva. Per diventare più bravo di quanto non fosse quando difendeva i pali della porta delle giovanili della Sampdoria era andato a studiare recitazione in America, raccogliendo il frutto delle sue fatiche al ritorno nel nostro Paese quando diventa uno dei volti più conosciuti delle soap opera nostrane. Il grande successo si chiama Vivere, la più accreditata delle risposte italiane a Beautiful, che gli vale anche il titolo di 'fidanzato d'Italia' assegnatogli nel 2000 dai rotocalchi. Una via en rose che si è lentamente tinta del nero della cronaca e del bianco della polvere da cui è stata cancellata la vita della sua giovane amica brasiliana in quel maledetto coca party consumato nella sua bella casa genovese nella notte tra sabato e domenica.
Calissano è diventato popolare con le fiction televisive
http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/GdM_cronache_NOTIZIA_01.asp?IDCategoria=273&IDNotizia=144514
ROMA – Paolo Calissano, attore molto amato dal pubblico femminile, è nato a Genova il 18 febbraio 1967. Laureato in economia alla Boston University, ha avuto numerose esperienze cinematografiche, tra cui “Palermo-Milano solo andata” di Claudio Fragasso, ma è diventato popolare grazie alla fiction tv. Ha partecipato anche alla serie americana “General Hospital”. Successivamente ha recitato tra l’altro nella serie “La dottoressa Gio” con Barbara D’Urso su Retequattro. Ma è la soap opera italiana “Vivere”, in onda su Canale 5, a dargli il successo nel ruolo del bel tenebroso Bruno De Carolis. Un riscontro di pubblico rafforzato diventando uno dei personaggi principali della soap di Raidue “Vento di ponente”, le cui due serie sono state girate proprio a Genova. Lo scorso anno ha partecipato all’Isola dei famosi, seconda edizione, ritirandosi però subito per i postumi di un infortunio al ginocchio.25/9/2005
GENOVA: CASO CALISSANO, ORA SI CERCANO GLI SPACCIATORI
OGGI L'AUTOPSIA SUL CORPO DELLA GIOVANE, L'ATTORE SALVO PER MIRACOLO
http://www.adnkronos.com/3Level.php?cat=Cronaca&loid=1.0.156248337
Genova, 26 set. (Adnkronos) - La polizia indaga a tutto campo per risalire agli spacciatori che hanno venduto la droga risultata fatale ad Ana Lucia Dezeira Bandeira, la 31enne, madre di due figli, che e' stata trovata morta intorno alle 12 di ieri nella casa genovese del noto attore tv Paolo Calissano. Il protagonista di 'Vivere' e 'Vento di Ponente' si e' salvato per miracolo, grazie a un'iniezione di Narcan, per la ragazza, invece, non c'e' stato nulla da fare.
Ascesa e declino del Richard Gere di Albaro
Calissano con le soap ha finito di «Vivere» 27-09-05
- di FABRIZIO GRAFFIONE - http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=31689
Paolo Calissano «tradito» dalla notorietà e dalla lontananza dalla nostra città. Dal liceo dei frati al successo della televisione. Era andato a studiare negli Stati Uniti e non toccava neppure le sigarette. Anzi, rimproverava gli amici che avevano il vizio del fumo. Al liceo era rispettoso dei professori e non litigava mai con i compagni.
«Paolo Calissano: il Richard Gere di Albaro». È il titolo della prima intervista all’attore genovese uscita su un settimanale genovese oltre venti anni fa. Gliela feci quasi scherzando. Lui non aveva ancora diciotto anni, io un paio di più. Eravamo in compagnia insieme, prima in via Telesio, poi in via Puggia e, infine, in piazza «Leo», cioè Leonardo da Vinci, a due passi dall’attichetto in affitto alla Rocca di Albaro, il residence dove abitava, poco prima, anche sua mamma. Eravamo insieme anche alla scuola, tutta maschile, dei fratelli Maristi. Allora, tra la fine degli anni Settanta e inizio anni Ottanta, lo Champagnat era uno dei pochi dove si doveva studiare davvero e non si scioperava mai. Quelli del King passavano sotto le finestre e inveivano contro di noi recitando slogan comunisti. Non ci capivamo granché. Infatti a ricreazione parlavamo prima di figurine, poi, al liceo, di moto, calcio, sci e delle prime storie con le ragazze. Fratel Umberto, il preside, ha sicuramente rimproverato più me di Paolo. Da ragazzino a scuola lui andava benino. Era educato con i professori. Non si pavoneggiava. Mai una litigata con un altro compagno. Insomma, uno tranquillo e simpatico, come tanti.Durante l’età universitaria aveva deciso di imparare bene l’inglese. Così era partito per gli Stati Uniti. Ci raccontava di spiagge bellissime, di surf, di auto e moto, di belle ragazze, di luoghi di studio realizzati a misura dello studente. Di orari e passaporti da mostrare al barman anche per bere soltanto una birra. Ma a lui e a tutti noi non importava. Nessuno aveva il vizio di bere alcolici. Era quasi il paradiso dei giovani. Almeno, a venti anni la pensavamo così. Qualcuno lo andò anche a trovare. Quando tornò era lo stesso di prima, ma con un grosso bagaglio culturale e sociale in più. Io fumo sigarette. Paolo no. Anzi, qualche volta, mi ha rimproverato e mi rimprovera tuttora: «Lo sai che in America hanno smesso di fumare quasi tutti». Non gli ho mai visto toccarla, una sigaretta. Figuriamoci uno spinello. Non lo ho mai visto sniffare cocaina. Al contrario, all’inizio della carriera di attore, ma anche dopo, quando con gli amici si andava a gustare un aperitivo, Paolo spesso non c’era. È uno che ci tiene al fisico. Lo rivedevo, tornando a casa, correre lungo i marciapiedi di corso Italia o di Quarto, vicino al mare, per mantenersi in forma. Soprattutto quando vedeva che noi, i suoi amici, avevamo messo su qualche chiletto di troppo.In palestra, poi, ci andava spesso. E anche io, per un periodo, ce lo trovavo sempre, insieme al fratellone minore, Roberto, un marcantonio che definire un pezzo di pane sarebbe riduttivo. Uno generoso, Paolo, un bravo ragazzo che è riuscito a sfondare nel difficile mondo dello spettacolo. Senza raccomandazioni. Partendo da Genova senza conoscere nessuno a Roma oppure a Milano. Senza essere figlio d’arte o compagno di qualcuno che conta. Era destinato dal papà a fare l’imprenditore, alla ditta Pattono. Come il fratello Roberto. Forse a Roma, quando abbiamo smesso di frequentarci spesso, è scattato qualcosa. In quel mondo è difficilissimo rimanere sulla cresta dell’onda, quando sei da solo e conti soltanto sulle tue forze.«Bocche cucite arriva la stampa» ridendo mi dice sempre. Di quel «giro» e delle avventure con le starlets «ne parlo soltanto con Roby». Soprattutto dopo «Vivere», «Vento di ponente» e delle altre produzioni televisive e cinematografiche. A casa mia è venuto un paio di anni fa per un barbecue in giardino. Insieme ai vecchi amici, a bordo della sua Harley Davidson fiammante. Rideva e scherzava. Un ragazzo come tanti. Belloccio e di successo, ma sempre educato e gentile con tutti. Ci siamo rivisti, un mesetto fa, per una festicciola di pomeriggio, a casa del fratellone. Mi ha riparlato degli incidenti stradali, prima con la sua moto e poi con una Smart. Nonostante la riabilitazione gli facevano ancora male le ginocchia. In mano una striscia di focaccia col formaggio e un bicchiere di birra. Tutto qui. L’ho abbracciato sui gradoni della chiesa di Albaro, al funerale del papà, un paio di settimane fa. Piangeva dietro gli occhiali scuri.
27 settembre 2005
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/09_Settembre/27/anina.html
La ragazza morta a casa di Calissano dopo un festino
E Anina disse: sto con Paolo, è l’uomo giusto
L'addio al Brasile dopo le violenze in famiglia. Aveva lasciato i night per un lavoro in fabbrica
Ana Lucia Bandeira Bezerra, la ballerina brasiliana morta per un'overdose a casa di Paolo Calissano DAL NOSTRO INVIATO MONDOVÌ (Cuneo) - «Anina» è morta povera. Oggi è arrivato l’estratto conto del Banco Posta di Mondovì, e il saldo dice 27 Euro. La chiamavano così, con un diminutivo, perché era piccola di statura, un metro e 61, e più piccola dei suoi 31 anni. Ana Lucia Bandeira Bezerra era una donna bambina, dicono le sue amiche studentesse. Così bambina da illudersi di aver trovato la persona giusta in Paolo Calissano, magari l’uomo capace di portarla via, dalla lap dance, dalle mani dei clienti sulle cosce, dai fine serata sempre uguali, a casa di qualcuno appena più gentile degli altri. «Domenica mi ha promesso che viene qui, così finalmente conosci uno famoso», aveva detto a Giorgia, che studia all’Istituto turistico di Mondovì. Lo conosceva da tre anni, da una settimana stavano insieme. «Il mio fidanzato», diceva, e non scherzava. So che si chiamava Ana, e che era brasiliana. L’attore che qualche anno fa era il «fidanzato delle italiane» ha fatto mettere questo a verbale. Mezza riga, non di più, a riassunto di una vita. «Anina» invece non era soltanto una nota a margine nella caduta rovinosa di un attore famoso.
Aveva una storia, non facile da raccontare, come le storie di chi perde sempre, qualunque cosa faccia. Era nata il 6 marzo 1974 a San Joao de Meriti, un villaggio attaccato a Rio de Janeiro. Nella casa della sua famiglia ci sono le sbarre alle finestre, per impedire ai vicini di fregarsi la lavatrice. Era fuggita a 14 anni, per scappare al convivente della madre, che la violentava ogni sera. Era finita sui marciapiedi del lungomare di Rio. Un operaio di Livorno se n’era innamorato e l’aveva portata in Italia. Era nata subito una bambina, tre anni dopo era arrivato un maschio. Lei aveva paura, di una vita con non pochi problemi e della responsabilità dell’essere madre. Se n’era andata. Aveva risalito l’Italia a tappe, il lavoro in un night per ogni città sulla Riviera, fino a Genova, dove aveva vissuto per due anni in un albergo dei vicoli. «Era insicura, nessuno su cui contare, nemmeno se stessa, in un mondo che non era il suo». Giuseppe Roggero ha appena finito di sgomberare la casa di Ana Lucia, due locali in una vecchia casa nel centro di Mondovì. È un carabiniere sospeso dal servizio, anche lui ha una storia e non di quelle giuste. Tre anni fa aveva conosciuto «Anina» al Penelope, un night che poi avrebbe cambiato nome e sarebbe diventato il Sax, ultimo domicilio lavorativo della ballerina brasiliana. «Non si faceva pagare, se è questo che tutti vogliono sapere. Ma non era capace di dire no». Si erano fidanzati. Lui l’aveva convinta a trasferirsi a Mondovì. Ana Lucia aveva smesso con la lap dance. Si era rivolta alla Man Power, una agenzia di lavoro interinale. Ne era venuto fuori un impiego alla Politec, azienda di manufatti in vetroresina. Fino a giugno, «Anina» faceva l’operaia. «È stato il periodo più bello della sua vita», dice Giuseppe. Contratti quindicinali, guadagnava 900-1.000 euro al mese, «molti più di quanti ne metteva via ballando di notte». Tre mesi fa, quella vita nuova era finita all’improvviso. Il permesso di soggiorno era scaduto, e l’agenzia non le aveva potuto rinnovare il contratto. Con Giuseppe si era lasciata, ma erano rimasti amici. Per consolarla dall’addio alla fabbrica, le aveva fatto il regalo più bello. Un viaggio in Brasile, alla ricerca di una famiglia perduta 17 anni fa. I genitori pensavano che fosse morta, uccisa dal convivente della madre, a sua volta ammazzato in una faida di strada. Risalendo l’indirizzo di una zia, avevano trovato il vero padre, il muratore Reginaldo, l’unica figura sorridente della sua infanzia, che se n’era andato di casa quando lei era bambina. Ana Lucia era tornata in Italia con un sogno, uno dei tanti, mai nessuno realizzato. «Sistemare la vita del padre, che non se la passa bene», dice Giuseppe. Ogni tanto diceva anche che voleva andare a riprendersi i figli, ma poi le passava. «Viveva trascinata dalla corrente». Quindici giorni fa, senza lavoro, aveva deciso di tornare a Genova. «Faccio un po’ di soldi e ci si rivede». Aveva l’affitto da pagare. La casa sembra davvero quella di una studentessa. Appesa a un muro c’è una collezione di piccoli poster di gattini. In cucina un poster di Valentino Rossi, in camera da letto una collezione di peluche. Nell’angolo basso di una bacheca, nascosta dietro una conchiglia, c’è una piccola foto incorniciata. Una bambina bionda che ride e indica un neonato. Sono i suoi bambini perduti. Le amiche dicono che Ana Luisa era sempre allegra, «quando eri triste andavi da lei, e ti tornava il buonumore». Miriam sta piangendo davanti al calendario appeso nel salottino. Il giorno del suo diciottesimo compleanno è cerchiato, Anina aveva scritto «chiamarla, farle un regalo!!!». Gli occhi però erano tristi, sempre. Una tristezza di fondo che ha molto a che vedere con quella foto nascosta. «Viveva di questo suo senso di colpa, l’abbandono dei figli». Aveva lasciato anche la patria potestà alla famiglia del padre: «Diceva che era meglio così, con lei non avrebbero avuto un futuro. Non si sentiva all’altezza». In un armadio all’ingresso ci sono le scarpe con i tacchi alti, i vestiti della sua vita nascosta, tubini stretti e attillati. Dice Giuseppe che con le droghe aveva un atteggiamento «laico». Se c’erano, non le rifiutava. A Mondovì, ci sono queste due ragazze, Giorgia e Miriam, 17 e quasi 18 anni, che chiedono di ricordarla anche così, la casinista che ballava e saltava con loro sui materassi. «Diceva che aveva trovato l’uomo giusto, "Paolo della tivù". Sapevamo che non era vero, ma era bello sentirla piena di speranza». Giuseppe ha questa pena nel cuore, la telefonata di sabato notte alle dieci di sera: «Il mio Paolo organizza una festa, perché non vieni?». È rimasto a casa.
Marco Imarisio
GENOVA: CASO CALISSANO, BALLERINA MORTA HA ABITATO A LIVORNO FINO AL 2002 http://www.adnkronos.com/3Level.php?cat=Cronaca&loid=1.0.158156056
Livorno, 27 set. - (Adnkronos) - La ballerina brasiliana Ana Lucia Bandera, morta per un' overdose nella casa genovese dell' attore Paolo Calissano, ha vissuto a Livorno fino a tre anni fa. La donna ha abitato in un appartamento del centralissimo corso Amedeo dove viveva insieme al convivente livornese, E.B., 33 anni, padre dei suoi due figli, una bambina di 12 e un bambino di 10 anni che sono rimasti con lui.
«Avevo perso un figlio e il lavoro»
«La cocaina? Ero depresso»
La verità di Calissano, ricoverato in ospedale. Salta l'interrogatorio, l'attore si è avvalso della facoltà di non rispondere
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GENOVA — Un figlio perduto, un incidente in moto che lo aveva prostrato nel fisico, la morte del padre avvenuta solo venti giorni fa. Paolo Calissano nel carcere di Marassi, davanti al giudice Elena D'Aloisio, ha raccontato la sua storia «di sfortuna e di depressione». «Stavo sempre più male — ha detto al giudice — per questo prendevo sempre più cocaina. Sono un cocainomane. Lo ammetto e sono pronto ad andare in comunità, a disintossicarmi. Da subito. Ne voglio uscire». «Ho perso un figlio dalla mia compagna pochi mesi fa. E' stato un grande dolore. Poi tutto è andato sempre peggio. E ora sono qui», ma questo sfogo dell'attore si è fermato davanti alla formalità dell'interrogatorio: «Non me la sento di rispondere su quello che è accaduto. Sono molto confuso. Non riesco a focalizzare gli avvenimenti. In questo momento, anzi, non ricordo quasi nulla di quella notte». Paolo Calissano, in termini tecnici, si è avvalso della facoltà di non rispondere, e il pm Silvio Franz si è opposto alla richiesta presentata dal difensore Carlo Biondi di arresti domiciliari in comunità. L'attore delle soap opera, l'ex fidanzato d'Italia per una breve stagione, è stato trasferito nel centro detentivo dell'ospedale San Martino. Perché deve essere curato. Nel suo appartamento di via Boselli, dove Ana Lucia Bandeira Bazerra, ballerina trentunenne, è morta sabato notte per overdose, la polizia scientifica ha trovato tracce di cocaina in quattro stanze. La sua storia Paolo Calissano l'ha ripetuta al consigliere regionale Fabio Broglia (Udc), ex presidente della commissione carceri, che ieri gli ha fatto visita. Sembra lucido, adesso, sdraiato sul letto, maglietta bianca e blue jeans, appare «un uomo determinato, sicuramente non disperato». -->-->
E Calissano racconta la sua verità. «Quello che mi sta succedendo è terribile. Ma chiarirò tutto. Non sono uno spacciatore, è un'accusa che mi fa rabbrividire, mi fa stare male. Non ho mai spacciato. E non ho mai obbligato nessuno a prendere droga. Ho sbagliato. Lo so, ma solo con me stesso, non ho mai fatto certe cose. Non capivo più niente, negli ultimi tempi. La mia bestia nera è la depressione. Io non sono matto, sono depresso». Depressione per i suoi amori finiti male, per quella compagna che ha perso un bimbo e poi l'ha lasciato, ma anche per la notorietà perduta, per la solitudine sempre più cupa, per la paura della vita che lo ha sempre attanagliato. Così quella sua apparente lucidità si sfalda in stati d'animo opposti: «Sono molto contento — dice — perché ho ricevuto tanti messaggi, perfino telegrammi di solidarietà. Me li hanno consegnati qui in ospedale. L'amore del pubblico mi commuove». Usa questa parola come se quella che sta vivendo sia una parte in una fiction e non la realtà di una notte finita in tragedia. Pensa di fare il testimonial per una battaglia contro la droga: «Voglio impegnarmi. Dire a tutti di non commettere lo sbaglio che ho fatto io, e che la droga uccide. Vorrei partecipare a una campagna contro la droga. Lo vorrei fare anche per la mia immagine».
Parla pochissimo di Ana Lucia, la piccola ballerina che non ha retto al cocktail di coca e tranquillanti. «Era una brava ragazza — dice —, la sua morte mi ha sconvolto. E' stata una fatalità. Ci conoscevamo da un po', e con lei avevo una bella storia». Anche se volesse, non può andare oltre perché le regole del colloquio gli vietano di parlare di quella notte, e comunque ripete di non ricordare nulla: «Sono stato sfortunato». Bello, ricco, famoso, in fondo sono solo etichette da soap opera. «Non mi facevano più lavorare. E così mi sono depresso ancor di più. L'ultima botta è stata quando mi hanno bocciato alla Rai una fiction che doveva essere ambientata in parte a Genova, come "Venti di Ponente". Si doveva intitolare "Gente di mare", ci tenevo moltissimo. Invece mi hanno detto no». All'ospedale è arrivato il fratello maggiore di Calissano, Roberto. Ma non ci può essere incontro. Per Paolo un altro colpo: «Mi dispiace per mio fratello e per mia mamma, per quello che stanno passando. Roberto poi ha tante preoccupazioni perché adesso deve prendere in mano la ditta, mio padre è morto da poco. E ora succede questo… vorrei poterli rassicurare. Abbracciare. Lo so che mi sono vicini. Che non sono solo». E di questo ha paura, Paolo Calissano, del buio della solitudine.
Erica Dellacasa http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2005/09_Settembre/28/Calissano.shtml
28 settembre 2005